L’antropologa sarda Veronica Matta e la storica culinaria irachena Nawal Nasrallah esplorano le connessioni culturali di un piatto che racconta la storia dell’umanità.

Uno strato di pasta ripieno di carne, pesce o verdure, cotto al forno e intriso di simbolismo: la panada è molto più di un semplice piatto. È un patrimonio culturale che affonda le sue radici nell’antichità, un elemento che unisce il Mediterraneo nel tempo e nello spazio. Nel suo saggio Panada on the road, l’antropologa sarda Veronica Matta ha intrapreso un viaggio alla ricerca delle origini di questa preparazione, scoprendo sorprendenti legami tra Sardegna, Maiorca e Minorca, esplorando somiglianze e differenze di quello che è considerato uno dei piatti più antichi della Sardegna. Secondo alcuni studiosi incontrati durante il viaggio, l’origine potrebbe essere nuragica o addirittura ebraica. Più grande o più piccola, ma sempre rotonda.

È la panada, un alimento tipico della Sardegna, di Maiorca e di Minorca, il cui concetto si ritrova in molte parti del mondo: lo scopo di questo impasto chiuso è quello di conservare e mantenere in buono stato per diversi giorni il cibo che contiene, che può essere carne, verdure o pesce. La sua ricerca si intreccia con quella di Pep Pelfort, direttore del Centro de Estudios de Alimentación de Menorca, che nella sua genealogia della panada ha evidenziato, oltre all’origine nuragica sarda, le suggestive informazioni sulla presenza della panada 4.000 anni fa, risalendo alla Mesopotamia.

Questo è bastato all’antropologa Veronica Matta per mettersi in contatto con Nawal Nasrallah, la studiosa irachena che ha collaborato con gli studiosi di Harvard alla traduzione di antiche ricette iscritte su tavolette cuneiformi babilonesi, oggi custodite dalla Yale Babylonian Collection.

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Immaginate di tornare indietro nel tempo, circa 4.000 anni fa”, racconta Veronica Matta, ”quando una delle prime ricette al mondo fu iscritta su una tavoletta cuneiforme babilonese. Questo piatto affascinante e sorprendente ha un legame straordinario con le tradizioni culinarie moderne. Stiamo parlando della leggendaria crosta di pasta babilonese, una ricetta scoperta tra le tavolette cuneiformi della Yale Babylonian Collection – una delle collezioni più prestigiose al mondo – che viene presentata come un sorprendente precursore di un piatto che oggi fa parte della cucina tradizionale di Sardegna, Maiorca e Minorca: la panada.

Questa scoperta, fatta dallo studioso francese Jean Bottéro, esperto di civiltà antiche, descrive con precisione un pasticcio di carne di selvaggina racchiuso in un doppio strato di pasta. A prima vista potrebbe sembrare un piatto proveniente da un passato lontano e remoto, ma in realtà ha qualcosa di incredibilmente familiare. Come sottolinea l’antropologa Veronica Matta, che ha dedicato anni di ricerche alla panada: “Questa ricetta babilonese ci mostra come già 4.000 anni fa esistesse l’idea di un ‘contenitore commestibile’ per cucinare, conservare e trasportare il cibo, un concetto che è ancora vivo nelle nostre cucine di oggi”.

Nel cuore dell’antica Babilonia, intorno al XVII secolo a.C., il re Hammurabi assaggiava piatti che sorprendentemente anticipano la nostra ‘moderna’ panada. Questo dettaglio”, aggiunge Matta,”non solo arricchisce la nostra comprensione di questo piatto, ma ci riporta alle origini di una tradizione culinaria che ha attraversato i millenni. La crosta di pasta, in cui si nascondeva o racchiudeva il cibo, non è più solo un contenitore, ma è diventata protagonista di una storia che si intreccia con la storia globale delle cucine del mondo”.

Un capolavoro di tradizione culinaria e architettura

Maiorca e Minorca presentano somiglianze e differenze. In particolare, la panada minorchina, la cui versione locale oggi si chiama formatjada, si differenzia soprattutto per l’impasto, che spesso include strutto o burro. Il ripieno tradizionale è a base di carne, soprattutto di maiale, ma oggi si possono trovare varianti in ogni periodo dell’anno. Ma ciò che ci sorprende – dice Veronica Matta – è la scoperta di quella prima parola “panada”, già usata a Minorca, come dimostrano i documenti medievali ritrovati dallo studioso Pelfort, ma che nel tempo è stata sostituita dalla parola “formatjada”. Ciò conferma il legame tra le due isole.

In Sardegna, sa panada è un simbolo di Assemini, il capoluogo, ma anche di Oschiri e Cuglieri. In questi paesi la ricetta viene tramandata di generazione in generazione e conservata con cura. È una tradizione che, pur vivendo attraverso le varianti locali, rimane un patrimonio prezioso e quasi segreto. La panada di Assemini”, racconta Matta, ”è una delle preparazioni più straordinarie, che conserva una forma che evoca l’architettura medievale. Le sue alte pareti di pasta, quasi dei robusti pilastri, sostengono l’intera struttura del piatto, custodendone con cura il contenuto”.

Il contributo degli studiosi alla riscrittura delle origini babilonesi 

Un contributo fondamentale alla comprensione delle origini babilonesi della panada viene dagli studi della storica culinaria irachena Nawal Nasrallah, una vera e propria pioniera nella riscoperta della cucina mediorientale. Collaboratrice di studiosi di Harvard e custode di tavolette babilonesi all’Università di Yale, Nasrallah ha dedicato gran parte della sua carriera alla scoperta delle antiche tradizioni culinarie della Mesopotamia.

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Matta racconta: “Ho avuto l’onore di parlare con Nawal Nasrallah, una figura di straordinaria importanza nel panorama culinario internazionale. Quando gli ho chiesto della ricetta della “Torta di selvaggina in crosta babilonese”, un piatto che sembra prefigurare la nascita della panada, la risposta di Nasrallah è stata che “anche se non possiamo dire con certezza quale sia l’origine di questa torta babilonese, è plausibile che l’abbiano sviluppata cuochi altamente qualificati alla corte babilonese o, ancora prima, i Sumeri”.

Come può un piatto che affonda le sue radici nell’antica Babilonia arrivare sulle tavole della Sardegna e delle Baleari? “Il viaggio delle ricette, come quello dei popoli, è sempre stato un intreccio di scambi culturali e commerciali – ci ricorda Nasrallah – e tutto il Mediterraneo, dalla Mesopotamia all’Egitto, fino all’Impero romano, era un mondo in cui i piatti, come le merci, erano in costante circolazione”. “Il lavoro di Nasrallah non solo ha aperto una finestra sulla cucina dell’antica Mesopotamia, ma ha creato un ponte tra il passato e il presente. I suoi libri, come Delights from the Garden of Eden (2003) e Dates: A Global History (2011), sono testi che offrono ai lettori un accesso unico a un patrimonio gastronomico che ha attraversato secoli e culture. Le sue traduzioni di ricettari arabi medievali, come Annali delle cucine dei califfi (2007), sono una risorsa essenziale per chiunque voglia comprendere le radici di molte tradizioni culinarie.

In conclusione, Matta riflette su come la panada sia molto più di un semplice piatto: “È una testimonianza di come la cucina possa trascendere i secoli, unendo popoli e tradizioni, e di come, oggi, possa continuare a raccontare storie di un passato che non smette mai di stupirci”.